Il 7° Rapporto GIMBE sul Servizio Sanitario Nazionale conferma che la sanità pubblica è una vera e propria emergenza del paese: grave crisi del personale, frattura Nord-Sud, boom della spesa delle famiglie (+10,3%), 4,5 milioni di persone rinunciano alle cure, crolla la spesa per la prevenzione (-18,6%). Spesa sanitaria pubblica: gap di € 52,4 miliardi con la media dei paesi UE, ma la percentuale di Pil scende al 6,2% dal 2026.
«Il Rapporto che la Fondazione GIMBE pubblica periodicamente rappresenta un prezioso spaccato di analisi sulle condizioni e i problemi della sanità in Italia. L’edizione di quest’anno, dedicata alle criticità del sistema sanitario, acquisisce un interesse particolare, ponendosi come sollecitazione all’applicazione dei principi di universalità e uguaglianza sanciti dalla Costituzione. Il Servizio Sanitario Nazionale costituisce, infatti, una risorsa preziosa ed è pilastro essenziale per la tutela del diritto alla salute, nella sua duplice accezione di fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività. La sua efficienza è frutto, naturalmente, delle risorse dedicate e dei modelli organizzativi applicati, responsabilità, quest’ultima, affidata alle Regioni. Per garantire livelli sempre più elevati di qualità nella prevenzione, nella cura e nell’assistenza, è necessaria la costante adozione di misure sinergiche da parte di tutti gli attori coinvolti». Lo afferma il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel messaggio inviato in occasione della presentazione del 7° Rapporto sul Servizio Sanitario Nazionale (SSN).
«Dati, narrative e sondaggi di popolazione – esordisce Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione GIMBE – dimostrano che oggi la vera emergenza del Paese è il Servizio Sanitario Nazionale». Rispetto al 2022, nel 2023 i dati ISTAT documentano che l’aumento della spesa sanitaria totale (+€ 4.286 milioni) è stato sostenuto esclusivamente dalle famiglie come spesa diretta (+€ 3.806 milioni) o tramite fondi sanitari e assicurazioni (+€ 553 milioni), vista la sostanziale stabilità della spesa pubblica (-€ 73 milioni). «Le persone – spiega Cartabellotta – sono costrette a pagare di tasca propria un numero crescente di prestazioni sanitarie, con pesanti ripercussioni sui bilanci familiari. Una situazione in continuo peggioramento, che rischia di lasciare l’universalismo del SSN solo sulla carta, visto che l’accesso alle prestazioni è sempre più legato alla possibilità di sostenere personalmente le spese o di disporre di un fondo sanitario o una polizza assicurativa. Che, in ogni caso, non potranno mai garantire nemmeno ai più abbienti una copertura totale come quella offerta dal SSN».
La spesa out-of-pocket – ovvero quella pagata direttamente dai cittadini – che nel periodo 2021-2022 ha registrato un incremento medio annuo dell’1,6%, nel 2023 si è impennata aumentando del 10,3% in un solo anno. «Una cifra enorme – commenta il Presidente – e largamente sottostimata, in quanto arginata da vari fenomeni: la limitazione delle spese per la salute, l’indisponibilità economica temporanea e, soprattutto, la rinuncia alle cure». Infatti, secondo l’ISTAT nel 2023 4,48 milioni di persone hanno rinunciato a visite specialistiche o esami diagnostici pur avendone bisogno, per uno o più motivi: lunghi tempi di attesa, difficoltà di accesso (struttura lontana, mancanza di trasporti, orari scomodi), problemi economici (impossibilità di pagare, costo eccessivo). E per motivi economici nel 2023 hanno rinunciato alle cure quasi 2,5 milioni di persone (4,2% della popolazione), quasi 600.000 in più dell’anno precedente.
Crolla inoltre la spesa per la prevenzione. Rispetto al 2022, nel 2023 la spesa per i “Servizi per la prevenzione delle malattie” si riduce di ben € 1.933 milioni (-18,6%). Tagliare oggi sulla prevenzione avrà un costo altissimo in termini di salute negli anni a venire, documentando la miopia di queste scelte di breve periodo. La Sicilia anche in questo caso è in fondo alla classifica nazionale.
La sanità pubblica sta sperimentando una crisi del personale sanitario senza precedenti. Turni massacranti, burnout, basse retribuzioni, prospettive di carriera limitate ed escalation dei casi di violenza stanno demolendo la motivazione e la passione dei professionisti, portando la situazione verso il punto del non ritorno.
Rispetto ai Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) – cioè le prestazioni e i servizi che il SSN è tenuto a fornire a tutti i cittadini gratuitamente o dietro il pagamento di un ticket – nel 2022 solo 13 Regioni rispettano gli standard essenziali di cura, con un ulteriore aumento del divario Nord-Sud: Puglia e Basilicata sono le uniche Regioni promosse al Sud, la Sicilia è sonoramente bocciata. «Siamo di fronte – commenta Cartabellotta – ad una vera e propria frattura strutturale Nord-Sud nell’esigibilità del diritto alla tutela della salute».
Anche la mobilità sanitaria evidenzia la forte capacità attrattiva delle Regioni del Nord, con i residenti delle Regioni del Centro-Sud spesso costretti a spostarsi in cerca di cure migliori. In particolare nel decennio 2012-2021 le Regioni del Mezzogiorno hanno accumulato un saldo negativo pari a € 10,96 miliardi. L’aumento della migrazione sanitaria ha effetti economici devastanti non solo sulle famiglie ma anche sui bilanci delle Regioni del Mezzogiorno, che risultano ulteriormente impoverite. Senza considerare quelli molto gravi anche sul bilancio dell’Asp di Siracusa, che paga, in maniera pesantissima, una migrazione sanitaria anche verso le Asp vicine.
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