Inutile negarlo. Nel Siracusa delle cinque sconfitte una crisi c’è e per stabilirne la natura e le dimensioni bisogna andare alle cause che l’hanno generato, partendo magari dai riscontri storici e dal presupposto che non va dimenticato che è quello della buona fede. La pioggia di penalizzazioni che dallo scorso Gennaio hanno eroso la classifica del Siracusa non erano altro che i sintomi di un malessere societario che si andava accentuando.
Un malessere che in altre occasioni la vecchia proprietà era riuscita a dissimulare aggrappandosi alle risorse della propria attività imprenditoriale che nel frattempo si erano vistosamente ridotte per via degli alti e bassi dell’economia industriale. A far ritenere irreversibile il ricorso al disimpegno dalle sorti del Siracusa contribuirono probabilmente altre cause come quella di un latente malessere di quella parte dell’ambiente sportivo che attribuiva probabilmente ad altre cause il crescente disamore del vecchio patròn, fatto sta che nel Giugno scorso, trovato miracolosamente un acquirente in tempi in cui specialmente nel meridione si investe sempre meno nel calcio, la proprietà passò dalle mani di colui che ci aveva riportato nel calcio che conta a quelle di altra persona perbene che oltre a distinguersi per le sue capacità imprenditoriali aveva trovato modo di investire nel calcio avvalendosi di buoni collaboratori, sempre ispirandosi al criterio gestionale del buon padre di famiglia. Giovanni Alì fu di una chiarezza solare. Non promise mari e monti, ma solo di far fronte alle spese correnti e di varare un organico tratto in gran parte dal patrimonio giocatori che sotto la guida di un buon tecnico locale aveva ben figurato in serie D fino a primeggiare, ottenendo dal venditore ampie assicurazioni sulla fattibilità dell’operazione e sull’accettazione da parte della tifoseria di un simile “gentlemen’s agreement” come gli inglesi chiamano gli accordi fra gentiluomini. Le cose però non andarono esattamente così, perché una frangia della tifoseria siracusana, quella stessa che pure aveva idolatrato Simona Marletta, catanese puro sangue, fino a rimpiangerne l’operosità e l’attaccamento ai colori sociali, e che continuava a nutrirsi delle magie a ripetizione sottoporta del 37enne catanese Emanuele Catania, si inventò una fantasiosa strategia catanese per… umiliare il Siracusa. Da qui tutta una serie di insulti rivolti alla nuova, incolpevole proprietà, per via dei risultati che non arrivano e che, di questo passo, fra una contestazione e l’altra, non potranno mai arrivare.
Per venire a capo di una situazione che rischia di degenerare fino all’inevitabile disimpegno della nuova proprietà, in assenza di altre soluzioni non c’è che una sola via per evitare l’acuirsi di una crisi che non giova a nessuno e che sarebbe quella di affidare questo periodo di transizione all’abilità professionale e diplomatica di Antonello Laneri, personaggio di spicco, gradito sia alla nuova proprietà che ai suoi contestatori, per ripartire alla grande verso ancora possibili, luminosi traguardi.
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