In ogni epoca l’umanità ha guardato il cielo con timore e riverenza. Al di sopra del cielo abita l’Onnipotente, l’Onnisciente, il Creatore di anime viventi. Egli scrive i segni del Suo volere e li comunica ai mortali servendosi della stelle, delle costellazioni e ei loro movimenti, delle congiunzioni e degli allineamenti dei pianeti, delle apparizioni di comete. Dal cielo, attraverso gli astri diurni e notturni, la pioggia, il vento discendono le benedizioni delle quali la terra ha bisogno per prosperare, i messaggeri divini, gli Angeli, inviati a vegliare e proteggere ogni uomo. Dalla spontanea considerazione che la vita del mondo fosse connessa al cielo ebbe origine nei nostri antenati la credenza sintetizzata in una massima “nasci homu e nasci stidda”. La nascita di una persona era paragonata a quella di una stella. E in quanto tale era soggetta all’influenza cosmica, era parte dell’universo, di un progetto divino, anche se in questa sfera terrestre tutto ha un inizio e una fine, terminal per un nuovo cammino. Ancora oggi, quando qualcuno nasce, si suole dire “è vinutu a lu munnu” oppure “è vinutu a la uci” e se riferito alla madre ha “datu a luci” ovvero la conoscenza al nuovo nato di una nuova realtà rispetto a quella el cielo da dove è disceso. Anche per le piante, quando stanno per manifestare la loro fioritura, la loro vitalità, nel linguaggio popolare si dice ha “misu o ha fattu l’ucchiuzzi” cioè si stanno affacciando alla dimensione terrestre nuove generazioni di fiori, piante, esseri viventi come l’uomo. Osservazioni che fanno comprendere quanto i nostri antenati si sentissero un tutt’uno con la natura, uguali nel loro ciclo temporale, dimoranti insieme entro i confini di uno stesso globo con la sua terra e le sue acque, sotto l’influsso dello stesso cielo e delle sue infinite stelle. Tant’è che tuttora, quando muore una persona, giovane o adulta che sia, viene adoperata l’espressione “si è spenta” oppure “è scomparsa” come se si trattasse di un astro. Le stelle, dunque,secondo l’antico e l’attuale sentire popolare, influenzano ogni attività umana, l’esistenza, la salute, il lavoro, l’amore, gli affari.Determinano la buona o la cattiva sorte. Concezione, che ha un fondamento di verità, che si svela a chi sa leggere l’arcano spogliandolo dalle superstizioni, dalle paure dell’incomprensibile. A proposito citiamo un motto, ancora in uso nel linguaggio corrente “Unu putissi fari pampini di pararisu, ma se nun c’è a bona stidda o ‘u vuliri di Diu, a nenti vali”. I) contadini dell’era preindustriale, per assicurare un ricco raccolto, nel periodo della semina specie a novembre e a dicembre, attendevano il sorgere di una stella che appariva un paio di ore prima dello spuntare del sole, detta “ stidda di la simenza”. Anche i pescatori avevano le loro stelle propizie per gettare le reti in mare. E se la pesca risultava scarsa, restavano in attesa di vedere occhieggiare altre stelle a loro ben note. E ciò perchè i pesci, specie le sardelle delle quali è ricco lo Ionio, secondo la credenza marinara si muovevano allo spuntare di quegli astri. Le stelle per i nostri progenitori sono state una guida per terra e per mare, un mezzo per conoscere l’ora, le variazioni atmosferiche, per leggervi responsi. Infatti bastava scrutare il cielo e se “i stiddi parpiavanu o nacasciavunu l’occhiu” cioè il loro luccichio tremolava più del solito, erano certi che fosse imminente il cattivo tempo. Fenomeno che era dovuto alle perturbazioni, le quali si formano nell’alto prima di cogliere gli effetti sulla terra. Verso le stelle, “l’occhi di Diu” che tutto conosce e tutto vede, com’erano intese nella mentalità comune, si aveva un senso di timore e di riverenza. Perciò guai alle persone che volevano contarle e così entrare nel mistero della divinità e della creazione. Queste sarebbero state punite con la crescita sul volto di tanti “purretta” (verruche) quanto era stato il numero delle stelle contate. Sacralità, che nell’evoluzione culturale dei secoli, ha permesso al popolo di guardare gli eventi astrali del secolo scorso privo di quel sentimento di castigo divino tramandatosi negli anni, aprendosi al nuovo approccio con gli astri. Infatti nel 1986, quando la notte fu illuminata “di la stidda cu la cuda” dalla cometa di Halley, nome dell’astronomo inglese che ne scoprì la periodicità dell’apparizione, e poi nel 1997 da quella di Hale-Bop, nomi degli astronomi statunitensi che l’avevano avvistata per primi, il popolo come gli antichi abitanti e gli scienziati dell’emisfero occidentale, vollero conoscere attraverso il linguaggio delle stelle il messaggio divino che recavano all’umanità dagli spazi siderali. Di conseguenza si riconsiderarono le credenze in tema, gli scritti ebraici, egiziani e arabi, delle civiltà che comparavano lo studio dell’astronomia con l’astrologia, scienza che nulla a che fare con la “majaria” o l’oroscopo riportato dai giornali e dalle riviste, in internet e dalla televisione soltanto per compiacere i lettori e gli ascoltatori. Fra gli studiosi della volta celeste di tre millenni fa, un posto eminente occupa il siracusano Archimede (287-212 a.C.)il quale ha lasciato ai posteri una nutrita raffigurazione di sfere, movimenti del sole e della luna, di pianeti sconosciuti, oltre alle sue invenzioni e scoperte. E occasione di approfondimento della materia offrono, ancora, le grandi civiltà dell’Oriente che si affidarono alle stelle e alla interpretazione del mondo come se fosse una sola unità cosmica, esprimendo tale concetto nella costruzione dei loro templi, di particolari edifici regolati in modo che fossero esposti agli influssi uranici e parlassero alla gente di detta unità scaturita da un progetto divino. A Siracusa un esempio di similare architettura lo troviamo nell’orientamento della “Casa del principe o Casa del Signore” com’era chiamata comunemente, la costruzione che trovasi a Pantalica risalente ai siculi di origine semitica (XII secolo a.C.), dei templi greci di Ortigia e in quello di Zeus Olimpio della contrada detta “e dui culonni” in relazione alle due colonne rimaste in piedi, o “e pantaneddi” per i pantani del luogo (V-VI secolo a.C.), del federiciano Castello Maniace e della Torre di Vendicare del XII secolo d.C. quando la cultura ebraica e araba trionfava nelle corti siciliane e dell’Italia meridionale con Federico II di Svevia, nei palazzi vaticani nonostante l’anatema, influenzando il pensiero cristiano dell’era medievale. Anche il popolo ha prestato attenzione alla posizione della propria abitazione per motivi di salute e di buona fortuna. Infatti badava che le stanze fossero esposte al sole secondo la sua parabola giornaliera, dall’alba al tramonto, che i letti fossero posizionati lungo l’asse nord-sud perchè concilia il riposo meglio di quello est-ovest influenzato dall’energia solare. Le case poco illuminate e a tramontana non erano soltanto malsane, ma esse potevano divenire luoghi per annidarsi “i mali spirdi”, i cattivi spiriti, i quali odiando il sole, la luce, la vita, arrecavano malattie e disgrazie a quanti l’abitavano. Oggi, comparando la credenza sull’influsso degli astri sull’uomo e sulla natura con le testimonianze della scienza, siamo stati in grado di scoprire la verità, di capire quanto i nostri antenati fossero a contatto con il cielo dall’inizio alla fine del loro ciclo vitale, come individui e come popolo, con il loro posto nella storia umana compiuta o mancata che sia stata.
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