Il terremoto che colpì la Sicilia Orientale il 9 e soprattutto l’11 gennaio del 1693 fu il più forte evento sismico avvenuto negli ultimi mille anni sull’intero territorio nazionale.
Inoltre – come ricorda l’Ingv – per vastità dell’area colpita, numero di vittime e gravità degli effetti provocati, è tra i terremoti maggiormente distruttivi di tutta la storia sismica italiana.
Colpì infatti un territorio vastissimo con due violentissime scosse avvenute a distanza di due giorni. Il primo forte evento si verificò il 9 gennaio 1693 mentre il secondo avvenne il giorno 11 ed causò danni veramente catastrofici.
Gli effetti più rilevanti, però, furono quelli di maremoto. La scossa dell’11 gennaio generò infatti ondate di tsunami, che investirono varie località della costa orientale della Sicilia, da Messina a Siracusa.
I siracusani si rivolgono alla Patrona Santa Lucia
La città di Siracusa, i cui abitanti, dopo la scossa di giorno 9 si erano rivolti alla Patrona Santa Lucia, sembra che non sia mai stata distrutta totalmente.
La maggior parte dei dati sui danni provocati dai terremoti del 1693 riguardano il centro storico della città, l’isola di Ortigia. Secondo quanto emerge dalle descrizioni riportate dalle fonti storiche, il danneggiamento subìto dalla città di Siracusa fu in generale minore rispetto a quello di Augusta e Noto.
Molte notizie riguardo la situazione di Siracusa possiamo trarle dalla “Relazione distinta del terremoto di Siracusa l’anno 1693” (inviata al papa dal vescovo di Siracusa Francesco Fortezza il 22 febbraio dello stesso anno e trascritta dalla studiosa Lucia Trigilia).
“La protezione della gloriosa Santa Lucia mosse il Senato e tutto il popolo a dimandare l’esposizione della statua con le reliquie della Santa nella Chiesa Cattedrale e, dubitando io che poteva accadere disgrazia per qualche nuovo terremoto, differii concorrervi sino alla mattina della seguente domenica (che era proprio giorno il fatidico giorno 11 ndr) nella quale rinnovando quelli le istanze, io con l’istessa considerazione procurai che l’esposizione si facesse fuori dalla Chiesa nel largo della Cattedrale, non potei però vincere il dettame della nobiltà e popolo, onde deliberai celebrare la messa nell’altare avanti la statua e reliquie della Santa Gloriosa nella Cattedrale.
Uscì voce che il Cappellone vacillava, nulladimeno, già preparato, cominciai la Santa Messa e giunto al fine del credo improvvisamente fui preso da tre o quattro persone assistenti e condotto alla Sacrestia col motivo di haver corso voce nella porta della Chiesa, che cadesse il Campanile d’altissima fabbrica elevata sopra quattro colonne fin da tempo di Archimede, benché la torre fosse opera rinnovata nell’anno 1542, altro successo terremoto.
Dopo pranzo verso ore 21 dell’istesso giorno scoppiò altro terremoto maggiore. Viddi tremare tutte le mura di quelle stanze, e scesimo la scala uscendo alla pianura della piazza dinanzi, il Palaggio, e Chiesa Cattedrale, in questo medesimo tempo precipiò la sudetta torre del Campanile, e per misericordia di Dio piegò la rovina di quella gran machina verso la tramontana, e parte verso ponente, che se fosse stata verso mezzogiorno avrebbe subbissato tutto il Palazzo Vescovale senza restarne vestigio. […] la Chiesa Cattedrale restò scossa et aperta, che si stima irreparabile, né vi si potrà celebrare i divini offici e li santi sacrifici, nel punto istesso rovinarono quasi tutti gli edifici della città, e quelli pochi che sono rimasti in piedi rimasero aperti minacciando rovine.
Le strade della città sepolte sotto li dirupi delle fabriche cadute non possono disconoscersi, e distinguersi dagli occhi parendo montagne di pietre inaccessibili. Furono sepolte sotto le rovine persone d’ogni genere, e condizione, che sin’adesso non sen ha saputo il numero”.
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