Il fabbro di Ortigia (Bibliotheka Edizioni, 2024, pp. 180) è un romanzo che nasce sotto il segno della nostalgia e del ritorno. Come ogni storia di lontananza, dobbiamo partire da un punto fisso, che in questo caso è Siracusa nei primi anni 20 del secolo scorso.
Allora Siracusa e Ortigia – lo sappiamo bene – erano la stessa cosa, mentre oggi sono tenute separate da un marketing turistico di bassa lega. Sarausa, ‘u Schogghiu, era tutta lì, racchiusa nel perimetro di acqua tra il Castello Maniace, la Marina, il porto Lachio e il lungomare di Levante. Al di là di quel magico rombo a forma di quaglia c’era solo una Borgata, tanta campagna sulla balza Acradina, e terreni che una cinquantina d’anni dopo avrebbero visto l’esplosione edilizia e le colate di cemento selvaggio.
Il mio protagonista è siracusano fino al midollo, un ortigiano doc, la cui infanzia matura tra un dedalo di viuzze strette, ronchi e cortili. Il ragazzo, che insieme ai suoi compagni gioca scalzo con un pallone di pezza mentre poco lontano i flutti si infrangono sull’Isola dei Cani, si chiama Currò. Appartiene a una famiglia di fabbri ferrai: il padre, gli zii, i fratelli più grandi hanno una bottega artigiana dove maneggiano attrezzi pesanti, modellano lastre di metallo, danno fiato ai mantici per arroventare la fucina e creano contro l’incudine delle forme nuove. Nato nel 1921, la giovinezza di Currò è un susseguirsi di espedienti, giochi e lavoretti in una Siracusa periferia dei Sabaudi, su cui regna un sovrano di bassa statura perdutamente innamorato della numismatica aretusea e degli spettacoli classici che cominciano a essere rappresentati nel teatro greco lasciatoci in eredità dai fondatori corinzi. C’è un clima quasi spossato e idilliaco, perché la periferia è ben lontana dalle turbolenze che investono i centri romani del potere. Le radio e i giornali, però, cominciano a caricarsi della retorica patriottica, lanciando sempre più frequentemente dei segnali d’allarme: dopo che il piccolo re ha nominato Mussolini capo di governo, da periferia del regno Ortigia diventa l’avamposto delle nuove sfide, un luogo intermedio per lanciarsi alla conquista degli scatoloni di sabbia al di là del Canale di Sicilia. È il richiamo della conquista esotica, il cui riverbero giunge fino alla Sicilia. Le gloriose sponde della Tripolitania e della Cirenaica, un tempo battute dal glorioso impero romano, sono ora calcate da quello fascista.
Quando scoppia la seconda Guerra Mondiale, Currò ha diciotto anni. L’età della leva obbligatoria è stata anticipata e bisogna combattere per la Patria. Giovane uomo di mare, a Currò tocca in sorte un posto di cannoniere a bordo del regio incrociatore Duca degli Abruzzi. Comincia così l’allontanamento da Ortigia: una lunga navigazione porterà Currò in giro per tutto il Mediterraneo, tra i pericoli naturali del mare e le imboscate della flotta inglese, nemici giurati della Regia Marina Italiana. Gli inglesi hanno un’invenzione che li rende più forti rispetto agli italiani: il radar. Questa diavoleria tecnologica permette loro di vedere le navi nemiche persino nel buio della notte e Currò sfiora la morte in più di una occasione.
Nei suoi pensieri c’è sempre l’amore per una donna dalle sembianze mutevoli, e poi la sua terra, la sua famiglia, il ricordo della spensieratezza di bambino e adolescente cresciuto in Ortigia che la guerra ha spazzato via.
Quando Badoglio firma l’armistizio nel settembre del 1943, l’Italia si spacca in due: liberata dagli angloamericani a sud, occupata dai nazisti a nord. In quel momento Currò si trova in convalescenza sulla terraferma ma, per sua sfortuna, nella parte ostile. È allora che la nostalgia diventa più lancinante e insopportabile, ma al tempo stesso gli dà la giusta carica per affrontare la sfida più grande: mantenersi in vita e tornare a casa.
Durante il suo viaggio, da bambino a uomo, da fabbro a soldato, Currò incontrerà tre donne, ciascuna delle quali è una emanazione di archetipo femminile che custodirà nel proprio cuore come ogni ricordo prezioso che lo ha tenuto in vita nei momenti più difficili.
Il fabbro di Ortigia è un romanzo ispirato a una storia vera, una storia di guerra, di amore e di nostalgia, e vuole essere un omaggio alla città che vive ancora nei ricordi di chi lo ha scritto.
Chi è Giuseppe Raudino
Giuseppe Raudino è nato a Siracusa, si è laureato a Siena in Scienze della Comunicazione e attualmente risiede a Groningen, nei Paesi Bassi, dove insegna Giornalismo e Teoria dei Media alla Hanze University of Applied Sciences, ma è anche uno scrittore di romanzi e giornalista di lungo corso.
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