di Gabriella Fortuna
Le donne nella storia hanno sempre pianto e sopportato in silenzio le angherie di una società fatta di uomini, spesso rimproverate e condannate dalle stesse madri e sorelle assoggettate e inglobate da pregiudizi atavici.
Storie come quella di Artemisia Gentileschi ad esempio, pittrice italiana di ispirazione caravaggesca e nobildonna vissuta intorno al 1600, ce ne sono a non finire. La Gentileschi, fu vittima di violenza sessuale, ma visto i tempi storici, non fu creduta e quindi messa alla berlina e umiliata da tutti. Storie passate che ricordano tragedie attuali. Stupri, violenze, prevaricazione e coartazioni ahimè, hanno purtroppo lo stesso identico epilogo.
Per dirla tutta, l’uomo in generale, ben conosce il valore di ogni donna, è ben cosciente come questo essere apparentemente indifeso, che suscita protezione, sa ben affrontare difficoltà. La sua capacità di resilienza gli è ben nota e malgrado questo, viene considerata un essere che fa fatica a fronteggiare avversità e imperizie e per questo viene preclusa da tanti ruoli e incarichi, dai vertici di una scala fatta sempre da uomini che vietano o meglio, fanno di tutto affinché la donna non abbia quelle funzioni che le spettano per merito e competenza.
La donna deve faticare il doppio rispetto al suo “compagno antagonista”, deve far valere il triplo le sue capacità. È una lotta impari. Lo dimostrano il fatto che molte comode poltrone sono ancora occupate da uomini che non lasciano spazio alle loro colleghe. E che dire delle quote rosa? Un oltraggio all’intelligenza femminile.
Di quel lontano movimento sessantottista che ha visto le donne scendere in piazza, sbandierando libertà, oggi cosa ne è rimasto? A distanza di tanti anni, tanto si è fatto, ma tantissimo ancora si deve fare. Di sicuro c’è una consapevolezza di sovranità maschilista che deve essere abbattuta, stereotipi che devono essere annientati, limiti che devono essere sconfitti, leggi che devono essere modificate. Troppe ancora le donne ammazzate per mano del proprio uomo. Una mattanza.
Un filo di sangue che può essere spezzato solo da leggi severe che devono tutelare e proteggere la donna anche dal punto di vista economico e che condannino severamente chi si macchia di femminicidio. Una mattanza che sembra non finire, anzi sembra, in questi ultimi mesi, ci sia una recrudescenza, un vigore irrefrenabile del fenomeno.
Evidentemente non si sta percorrendo la strada giusta se ancora tante, troppe, hanno perso la vita a causa di gesti esiziali dei loro compagni che, naufraghi della loro solitudine, non accettano la fine di una relazione resa ormai sterile dal loro stesso egoico solipsismo o forse non accettano che a dire basta siano proprio loro, le donne, o forse ancora non riescono a trovare un equilibrio interiore, troppo intenti a controllare un’unione unilaterale.
Tirando le somme, né le associazioni antiviolenza, né le forze dell’ordine, che già fanno tantissimo e sono attive nel territorio, riescono ad ostacolare, a combattere e a fermare questo fenomeno che pare non si arresti. Fino a quando una sola donna è vittima di un uomo, la società civile ha fallito.
Tutte siamo a rischio, nessuna esclusa. Quale soluzione si paventa? Occorre educare, fin da piccoli a capire che il genere non esiste e altro non è che una divergenza arbitraria dell’uomo supponente. La scuola, con la sua governance, deve contribuire a perseguire un’educazione che miri a un’eguaglianza di genere e a una lotta alla discriminazione. È dalla scuola che deve partire il cambiamento, è nella scuola che deve imperare la cultura del rispetto. Ogni donna merita il ruolo che vuole avere e non quello che le viene assegnato.
La donna ha un solo difetto: non ha la forza nerboruta dell’uomo e per questo deve essere ascoltata, scortata, aiutata e protetta. Perché se una donna arriva a denunciare, ha fatto la sua scelta ed è in questo momento che devono intervenire le forze dell’ordine, fermando, controllando, intimando l’uomo anche se la donna ritira la propria denuncia.
Parafrasando le parole di Oriana Fallaci, le donne non devono imparare a difendersi dagli uomini, ma sono quest’ultimi che devono imparare a rispettare le donne. La donna deve denunciare, subito. Alla prima denuncia, al primo segnale di pericolo, devono scattare misure ferree e protezione assoluta per la donna che deve essere assistita e sostenuta economicamente, socialmente e giuridicamente.
Occorre fare rete quanto più possibile, parlarne fino allo sfinimento, garantire pene certe e durature, tutelare, proteggere e aiutare la donna a riprendere in mano la propria vita attraverso interventi mirati e ridare dignità e rispetto a quella persona che si chiama donna, per disegnare una società equa e veramente civile.
Tanta, troppa la disperazione che gira intorno all’incubo che si chiama violenza domestica, dove la paura attanaglia, lo sgomento pervade, il tempo appare infinito e nulla può, verso quella cieca indicibile follia che tormenta e assale.
E la donna continua a lottare. L’ha fatto per il divorzio, per l’aborto, per l’uguaglianza dei diritti e continua a farlo. I dati parlano chiaro. Femminicidio e denunce per stalking sembrano essere in netto aumento e se ancora siamo qui a parlarne, è perché manca una logica garantista da parte dello stato a tutela di tutte quelle donne fragili e in difficoltà. Tanto si è detto, tanto si è fatto, ma evidentemente non è sufficiente. Le leggi ci sono, ma devono essere ancora più rigide e inflessibili.
Non c’è dubbio che gli stereotipi di genere sono ancora ben radicati, ma percorsi di educazione al rispetto, fin dalla più tenera età, possono essere utili e fondamentali per assottigliare questa linea invisibile di differenza che tanto fa male e, per la stessa linea, molte donne trovano la morte. Liberare mamme e bambini dai lacci della violenza, come ha sostenuto Papa Francesco, è possibile grazie anche alle tante case protette che accolgono.
Tutti noi, nessuno escluso, siamo disgraziatamente testimoni di questa società e tutti noi siamo coscientemente consapevoli che siamo eredi di un’entropia senza ritorno. In questa battaglia nessuno vince, ma risulta sconfitta un’intera umanità.
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