
Sono trascorse poco più di due settimane dal femminicidio di Sara Campanella, la studentessa universitaria di 22 anni uccisa a coltellate il 31 marzo scorso nei pressi dell’Università di Messina.
Per il delitto si trova in carcere Stefano Argentino, 26 anni, collega della vittima e reo confesso. Argentino, secondo quanto emerso finora, non avrebbe accettato il rifiuto della giovane, di cui si era invaghito.
A parlare per la prima volta è il suo avvocato, Giuseppe Cultrera, che ha incontrato il giovane due giorni fa per un primo colloquio nel carcere di Messina. «È stato un incontro preliminare, conoscitivo – racconta il legale – Stefano è cosciente di quello che ha fatto, ma non riesce ancora a parlarne in modo diretto. Usa espressioni come ‘il fattaccio’, ‘quello che è successo’, come se il solo nominarlo fosse troppo doloroso o difficile da affrontare».
“Parla sempre di volersi suicidare”
Durante l’incontro, Argentino ha continuato a manifestare pensieri suicidi. «È detenuto in media sicurezza, più che altro per proteggere sé stesso. Non gli danno nemmeno una penna – spiega Cultrera – mi ha confidato di aver detto alla madre, il giorno stesso dell’omicidio, che voleva togliersi la vita. Ma mi ha anche parlato di un disagio che va avanti da tempo, di una sensazione costante di fallimento, di problemi personali e universitari».
Il legale, pur non essendo uno specialista, parla di un disagio evidente. «La sensazione che ho avuto è quella di un ragazzo fragile, chiuso in un malessere interiore che si è aggravato nel tempo. Forse ci sono situazioni familiari, forse qualcosa di più profondo. Per questo chiederò una perizia psichiatrica».
“Non cerchiamo scorciatoie. Ma serve verità”
L’annuncio della richiesta di una perizia non ha tardato a sollevare polemiche. L’avvocata Concetta La Torre, che rappresenta la madre di Sara, ha parlato di “una mossa prevedibile”, spesso utilizzata nei casi di femminicidio. «Stefano Argentino era lucido – ha dichiarato – non ha nulla di psichiatrico».
Cultrera, però, precisa: «Non chiederò mai l’assoluzione. Ma la perizia è un diritto dell’imputato, non un trucco processuale. Serve per capire se Stefano, al momento del fatto, fosse pienamente capace di intendere e volere. È necessario comprendere le sue condizioni psicologiche. È un accertamento che può aiutare a far luce, non a giustificare».
Indagini ancora aperte. Si cerca l’arma del delitto
Le indagini proseguono. Il coltello ritrovato vicino al luogo del delitto non ha restituito tracce ematiche e potrebbe non essere l’arma usata per uccidere Sara. Gli investigatori hanno eseguito accertamenti anche sugli abiti sequestrati a casa di Argentino, su cui sono state trovate tracce di sangue. Ancora da analizzare i telefoni del giovane e dei suoi genitori.
Che fine ha fatto quell’arma? Stefano se n’è liberato da solo, lo ha nascosto, o qualcuno lo ha fatto per lui? A rispondere saranno gli altri accertamenti che la sostituta Alice Parialò e l’aggiunto Marco Colamonici stanno pianificando.
La tesi dell’avvocata La Torre su questo punto è un’altra: «Ha deliberatamente nascosto l’arma del delitto, perché il coltello che ha ferito a morte Sara non si trova, e sembra che abbia anche occultato il giubbotto indossato al momento del delitto e che doveva essere pieno di sangue. Quindi, una mente perfettamente lucida che dopo l’omicidio si disfa del coltello».
«Sono stati disposti accertamenti anche sui dispositivi della madre e del padre – spiega Cultrera – non perché si sospetti un loro coinvolgimento, ma per comprendere cosa sia accaduto prima del delitto, se ci fossero segnali di disagio evidenti. La madre è sconvolta. Continua a chiedersi se avrebbe potuto capire, intervenire, fare qualcosa».
Due famiglie spezzate
Una ragazza piena di sogni è stata strappata alla vita. Un giovane è rinchiuso in carcere, divorato dal rimorso, in silenzio. «Quella di Sara è una perdita irreparabile – conclude il legale – e nessuna giustizia potrà mai colmare quel vuoto. Ma anche la famiglia di Stefano è devastata. Sono due mondi crollati». Ora la verità.
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