Una volta c’era un raccoglitore di broccoli che aveva tre figlie femmine. Questo, poverino, andando per cavoli non riusciva a trovare neppure un filo d’erba, tanto che un giorno disse a sua figlia Rosetta:
— Vuoi venire con me a cercar broccoli, che forse con te, ne trovo qualcuno?
— Sissignore, ci vengo!
Erano in campagna ma non trovavano neppure un cespo. A un certo punto Rosetta si accorse che c’era un bel fungo e si mise per tirarlo. Ma fu impossibile perché aveva radici così forti, che dovette chiamare suo padre. Tira, tira, dopo aver faticato tutti e due per un’ora, il fungo si strappò e comparve uno Schiavo:
— E che state facendo qua, tutti e due? — disse lo Schiavo.
— E che! È un’ora che tentiamo di strappare questo fungo e non ci riuscivamo!
— E tu — disse lo schiavo al padre — mi vuoi lasciare questa bella ragazza che hai? Che tua figlia con me, diventa regina? Io qua sotto ho un palazzo che è una bellezza.
Il povero padre le disse:
— A me!? Con lei devi vedertela! Tu figlia mia, ci vuoi restare con questo signore?
— Sissignore!
Lo Schiavo dette al padre una borsa di denari e domandò licenza.
Rosetta gli disse: Vossia, salutatemi le mie sorelle.
— Come! — disse lo Schiavo a Rosetta, — allora hai altre sorelle? E quante sorelle hai?
— Due — rispose Rosetta.
— Allora — disse lo Schiavo al padre – fate venire ogni tanto le sorelle qui, a questo buco, a trovare Rosetta.
Il raccoglitore di cavoli se ne tornò a casa e raccontò, pane al pane e vino al vino a sua moglie.
Rosetta, sparita con lo Schiavo, si trovò in un palazzo sotterraneo dove c’erano camere piene di monete d’oro, d’argento e di brillanti. Lo Schiavo disse:
— Ascolta ciò che ti dico: se tu mi sarai fedele e farai ciò che io dico, queste ricchezze saranno tutte tue.
— Ma io faccio tutto ciò che dite voi! — disse Rosetta. Mangiarono, bevvero e dopo tre giorni lo Schiavo disse:
— Allora, io parto, e sto fuori per un mese, ti lascio questa mano di carne viva; tu devi mangiarla mentre io non ci sono; se non lo fai, guai a te!
Lei, poverina, prese la mano e promise di mangiarsela. Lo Schiavo partì. Rosetta dopo la sua partenza cominciò a guardare la mano, le faceva orrore e diceva:
— Figli! E come faccio a mangiarmi questa mano di carne viva?
E che fa? prese la mano, la pestò fina fina dentro un mortaio, e la gettò nel gabinetto. Tornò lo Schiavo:
— Rosetta, te la sei mangiata la mano?
— Sì, me la sono mangiata! Lo Schiavo si rivolse e disse:
— Mano, manina mia, dove sei?
— Nel gabinetto, rispose la mano.
— Ah! Allora — disse lui a Rosetta — non te la sei mangiata la mano?! Tiè!
E con un sol colpo gli strappò la testa e la gettò in una camera nel mucchio con le altre.
Dopo un po’, il padre era là che coglieva broccoli: comparve lo Schiavo e gli disse:
— Vostra figlia sta in buona salute, è in un palazzo d’oro e d’argento, ma vorrebbe una sua sorella per stare in compagnia.
— Sì signore, domani vi porto mia figlia Caterina.
— Tenete qua — disse lo Schiavo e gli porse una borsa di denari.
Il padre tornò a casa e raccontò tutto a sua moglie; le diede notizie di Rosetta e si prese Caterina e le giocò lo stesso tiro.
Quando giunse in campagna, la calò nel buco incantato, poi lo Schiavo le diede la mano ripetendole la stessa canzo¬ne. Caterina, poveretta, non sapeva che fare e lui le mozzò il collo come a sua sorella. Il raccoglitore di cavoli tornò nello stesso posto e lo Schiavo, che era peggio del demonio tentatore, gli disse che Rosetta e Caterina avrebbero voluto con loro l’altra sorellina che si chiamava Antonia.
— Sì, signore — rispose il padre e l’indomani gli portò Antonia.
Ma diciamo che Antonia era di settemila più furba. Come lo Schiavo, al solito, le disse la cosa della mano e che se ne doveva andare, lei, cominciò a pensare come poteva liberarsi di questo grande impiccio. Che fece? Pigliò la mano, la pestò nel mortaio e se la mise come cataplasma sopra lo stomaco. Venne lo Schiavo:
— Dov’è la mano?
— Nello stomaco.
Lo Schiavo andò a vedere dentro il gabinetto e non la trovò. Allora si convinse che Tonia la mano se l’era mangia¬ta e le aprì il suo cuore e tutti i suoi segreti. Le diede le chiavi di tutte le camere e le fece vedere tesori e ricchezze in quantità, che erano una meraviglia.
Trovandosi sola, aprendo di qua e aprendo di là Tonia entrò in una camera: e che vide? Vide gettati in terra tanti cadaveri freschi, freschi di regnanti, imperatori, di reucci, di reginelle e di altre persone; a chi mancava la testa, a chi i piedi, a chi le braccia. E questo è niente. Tra le altre persone Antonia chi vide? Rosetta e Caterina con le teste strappate.
— Ah! Sorelline mie come vi ho perduto!
Là in terra c’era una pignatta con una certa cosa dentro. Tonia pigliò il pennello, lo bagnò dentro questa cosa, unse il collo di Caterina, Caterina rinvenne e abbracciò Tonia; Tonia fece la stessa cosa con Rosetta e rinvenne Rosetta; allora baci e abbracci che era una vera tenerezza vederle. Tonia si prese coraggio e uno dopo l’altro fece rivivere tutti i morti. Questi morti avevano perso la vita per mano dello Schiavo, come le due figlie del raccoglitore di broccoli; e la meravi¬glia è che non marcivano mai ma restavano sempre come se fossero morti allora. La festa che fecero quando rivissero tutti non si può dire né raccontare, chi si abbracciava Antonia di qua, chi se l’abbracciava di là; uno se la voleva pigliare per figlia, un altro per madre, un altro per moglie, un altro le voleva dare il regno. Ma intanto il tempo, passava e tutti furono d’accordo che Antonia aveva da essere la moglie del reuccio di Portogallo, come di fatti fu.
Lasciamo loro e pigliamo lo Schiavo che quando tornò e vide tutte le camere aperte, i morti redivivi e i denari che quasi non c’erano più, restò come uno scemo. Voleva fare, ma che poteva fare? Non c’era più nessun rimedio… Alla fine lui che era un mago progettò questo inganno: si fece chiudere in una bella credenza e si fece portare in Portogal¬lo. Quello che portava la credenza, la portò sotto il palazzo reale e gridava:
— Che bello scrigno! Chi lo vuole comprare? Giusto in quel momento si affacciò il reuccio con la reginetta.
Il reuccio disse:
— Tonia, lo vogliamo comprare questo bello scrigno! Tonia, come se il cuore le avesse parlato, non disse né sì né no.
Il reuccio Io comprò e se lo fece portare dentro, per gentilezza.
Venne la notte: lo Schiavo che si era chiuso con la chiave da dentro, come si vide nella camera della reginetta aprì per uscire e farle una stregoneria. Tonia che era mezza appisola¬ta gridò :
– Olà, olà!
Corsero i camerieri e non videro nessuno. Passa un altro momentino e il fruscio si sentì di nuovo:
— Olà, olà!
Ma i camerieri non vedevano nessuno, perché lo Schiavo non si muoveva e pareva una statua. Alla terza volta, Tonia si accorse di tutte le mosse dello Schiavo e quando gridò: — Olà, olà, lo fece catturare per le mani e per i piedi e lo fece mettere in una gabbia di ferro. Allora mandarono la notizia a tutti i regnanti; e i regnanti corsero tutti in Portogallo per seviziare lo Schiavo e vendicarsi di quello che avevano patito per questo cane scellerato. E tante ne fecero e tante ne dissero che lo Schiavo ne morì. Allora si fece gran festa.
E loro restarono felici e contenti e noi siamo qua e ci strofiniamo i denti. [Raccontata da una nipote della cieca Brusca, Palermo].
Giuseppe Pietre
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