di Giuseppe Bianca
Era il 23 aprile del 2014 quando una figura subliminale della mia vita scomparve nei suoi anni splendidi, una donna 50enne che con la sua personalità faceva impallidire una 30enne, una bellezza statutaria, uno stile leggiadro, «un disìo Mai non sentito di cotanto acume» (Dante); che illuminava il percorso della nostra vita. Una eredità di persona, una traccia difficile da colmare.
Era l’anno micidiale, quel 2014, sei anni fa, nel nostro stordimento totale della perdita, ci ricordavamo delle indagini sugli scandali a Roma, e Benigni non perse occasione di ironizzare nel corso della sua apparizione in tv: «Sono contento di vedervi qua a piede libero, con l’aria che tira a Roma, siamo riusciti a trovare gli incensurati: abbiamo avuto il permesso della Rai, della questura, della banda della Magliana. Possiamo cominciare. Hanno saputo che dovevo fare questo spettacolo, I dieci Comandamenti, e li hanno violati tutti». Nella sua introduzione, il premio Oscar aveva citato ancora una volta il premier: «Renzi al posto dell’Italicum vorrebbe il Vaticanum, chi viene eletto governa a vita». Ma poi, lasciati da parte Renzi e i politici, aveva iniziato il suo viaggio tra amore e doveri, diritto alla felicità, gioia della fede, invitando tutti a dieci secondi di silenzio, «perché Dio sta nei frammenti di silenzio». «Il senso del tutto è nel silenzio» aveva spiegato. «Pensate oggi quanto ce ne sarebbe bisogno: siamo tutti sempre connessi con tutto il mondo, ma disconnessi con noi stessi. Nessuno ha più il coraggio di rimanere da solo con se stesso. Ma i comandamenti ci dicono di fermarci: siamo andati talmente di corsa con il corpo, che la nostra anima è rimasta indietro. Fermiamoci, altrimenti la perdiamo per sempre». Ieri sera su Rai uno la replica per intero.
Parole più che mai attuali e profetiche che con la pandemia ci ha fatto ritrovare noi stessi.
Un periodo davvero particolare, mai verificatosi negli ultimi cento anni dopo la pandemia Spagnola. Siamo stati confinati, le piazze erano inevitabilmente e giustamente vuote, come se ci fosse il copri fuoco. Nella storia, nel mese di aprile che precedette la Liberazione c’era il copri fuoco, era di guerra, se uscivi per strada ti sparavano, adesso per fortuna non è stato così, non c’è stato un copri fuoco di guerra ma di una emergenza, un copri fuoco scelto da noi, una limitazione della nostra libertà che scegliamo noi per rispetto degli altri e per salvare noi stessi. Però ci ha fatto capire cosa significa non avere la libertà.
Calamandrei diceva: «Ci si accorge di quanto vale la libertà, quando comincia a mancare, come l’aria». Ed ancora, diciamo noi, manca: «la Libertà e Siracusa muore».
Tutti noi abbiamo provato quel senso di asfissia in questi giorni e per questo a maggior ragione occorre essere più coscienti e vigili. La fase quella che si è aperta il 4 maggio che avrà pochi giorni a disposizione per «entrare a regime». Con la conseguenza che quella che si sta sviluppando in queste ore è e sarà una ripartenza «sorvegliata speciale», anche e soprattutto in considerazione del fatto che, come diversi esponenti del comitato tecnico scientifico hanno più volte sottolineato, siamo ancora dentro la crisi epidemica. Un altro strumento, che affianca l’esecuzione dei tamponi in maniera mirata (e nell’attesa che l’App per il tracciamento dei contagi diventi operativa), per avere un quadro il più completo possibile di quello che è accaduto e di quello che sta accadendo.
Se l’indice di contagio Rt dovesse superare la soglia uno o non fosse calcolabile, scatterebbe l’allerta. Da monitorare i nuovi possibili focolai che, se numerosi, potrebbero richiedere il ritorno alla Fase 1, con le ulteriori inevitabili ripercussioni sul sistema economico.
Ma c’è anche l’altra faccia della medaglia. Se l’indice di contagiosità dovesse risultare sotto controllo, potrebbero scattare dal 18 maggio «concessioni» nella forma di aperture differenziate a seconda delle aree. Chi è rimasto fuori dalla prima tranche di aperture, potrebbe rientrarci prima di quanto previsto dalla tabella di marca delineata dall’esecutivo nell’allegato 3 del Dpcm del 26 aprile.
Cari lettori siamo rimasti attoniti in uno dei passaggi dei I dieci Comandamenti recitati da Roberto Benigni che ci fa riflettere in questo momento di meditazione sul nostro futuro e sul come cambierà il nostro comportamento verso il prossimo che desideriamo proporvi il passaggio:
«Amiamo sempre troppo poco e troppo tardi» è una delle frasi di Roberto Benigni nella sua versione dei Dieci comandamenti. Notevole il passaggio sulla felicità, (minuto 7,57).
«La felicità. Cercatela, tutti i giorni, continuamente. Chiunque mi ascolta ora si metta in cerca della felicità. Ora, in questo momento stesso, perché è lì. Ce l’avete. Ce l’abbiamo. Perché l’hanno data a tutti noi. Ce l’hanno data in dono quando eravamo piccoli. Ce l’hanno data in regalo, in dote. Ed era un regalo così bello che l’abbiamo nascosto come fanno i cani l’osso, che lo nascondono. E molti di noi lo fanno così bene che non si ricordano dove l’hanno messo. Ma ce l’abbiamo, ce l’avete. Guardate in tutti i ripostigli, gli scaffali, gli scomparti della vostra anima. Buttate tutto all’aria. I cassetti, i comodini che c’avete dentro. Vedrete che esce fuori. C’è la felicità (…). E anche se lei si dimentica di noi, non ci dobbiamo mai dimenticare di lei (…). Non bisogna mai aver paura di morire ma di non cominciare mai a vivere davvero».
Ma quando siamo felici a Siracusa?
E’ una bella o brutta domanda?
Dipende dal colore politico.
Ma occorre porcela necessariamente, per traccia un nuovo percorso di vita, di sviluppo.
Occorre chiedersi sempre se si è soddisfatti, per individuare l’altimetro dell’adrenalina, per raggiungere nuovi obiettivi non solo personali ma anche e soprattutto collettivi, l’«economia circolare» è fondamentale per tutti noi nel preoccuparci anche del nostro vicino se ha bisogno di aiuto. Quante volte abbiamo scritto fiumi di inchiostro che la nostra economia, individuati alcuni punti, è da riscrivere. Un territorio lacerato da una politica che vive alla giornata. Vogliamo parlare semplici per farci capire anche dalle formiche, è finito tutto. Come in una guerra, a parte la pandemia, ce li troviamo da prima, cioè da alcuni mesi fa (basta ripercorrere i nostri editoriali), occorre dalle macerie ricostruire il territorio, il futuro di questa città. Basta con gente del nulla, dell’apparire, persone vuote dentro.
Guardate gente Siracusana che: «Se l’ignoranza e la passione sono i nemici della moralità del popolo; bisogna anche confessare che l’indifferenza morale è la malattia delle classi colte».
Vogliamo ricordiamo le note dolenti del nostro territorio: PPO e PRG scaduti. Inesistenti: Piano Commerciale; il Piano Urbano della Mobilità; i Servizi alla collettività, nel dimenticatoio i progetti di sviluppo ZES-SIN; gli Asili nido; le periferie all’abbandono; la gestione dell’igiene urbana che fa acqua da tutte le parti; i trasporti con un pulmino e mezzo; la protezione civile che aspetta che arrivi il maltempo e la burrasca per decimare i siracusani; le attività sociali che lasciano morire le classi meno abbienti; le strade lunari; le frazioni dimenticate di Belvedere e Cassibile (che adesso dopo una stasi, riprendono a parlare di autonomia); il Nuovo Ospedale di Siracusa di un sindaco inesistente, roba da chi l’ha visto; il Porto senza sviluppo; il libro bianco sul Turismo (adesso si ci è messa anche la pandemia) che aspetta solo il periodo delle Rappresentazioni classiche (rinviate); l’Industria e l’Agro-alimentare; l’Area Artigianale inesistente (pensate che anche Solarino l’ha realizzata); il collegamento stradale diretto con l’aeroporto Fontanarossa mai esistito.
Per non dimenticare della Rigenerazione urbana dell’Ance Siracusa per il quale l’ing. Massimo Riili rilancia la vicenda Stazione-Water front con il porto. Infine si è dimenticato, dopo la presentazione del progetto G124 riguardante il centro abitato periferico della Mazzarrona?
Adesso basta. Basta piangere sul latte versato: Sinistra, Destra, Centro o Liste civiche poco importa, l’importante è raggiungere l’obiettivo dello sviluppo del territorio senza preconcetti.
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