Faccio il costruttore e quei lavori hanno un valore almeno 20 milioni di euro», lo ha dichiarato davanti al Gip Andrea Migneco visibilmente emozionato, l’imprenditore Antonino Ranno. Nell’ambito dell’operazione «Xiphonia» Ranno ha deciso di rispondere alle domande spiegando la propria versione dei fatti. L’imprenditore augustano, insieme ad Alfio Fazio deve rispondere delle accuse di associazione a delinquere, truffa aggravata, dichiarazione fraudolenta, emissione di fatture e documenti per operazioni inesistenti e indebita compensazione. Nell’operazione risultano indagate altre sei persone, cinque delle quali Carlo Fazio, Adriana Tringali, Basilico Caracciolo, Giuseppe Passanisi e Rosario Serra hanno subito il divieto di esercitare attività lavorativa per 10 mesi. I due imprenditori sono invece agli arresti domiciliari con Fazio che davanti al gip ha deciso di avvalersi della facoltà di non rispondere mentre Ranno, ricordando di essere un costruttore, ha sottolineato come il valore delle opere già realizzate per il porto turistico è superiore a quanto viene contestato dalla Procura. L’imprenditore, sostenendo la propria posizione, avrebbe anche detto che una perizia potrebbe confermare la correttezza delle proprie affermazione. A difendere Ranno è l’avvocato Massimo Milazzo il quale ha già preannunciato la presentazione di un’istanza al tribunale del Riesame per chiedere la scarcerazione del proprio assistito. Una richiesta che con ogni probabilità arriverà anche per gli altri indagati. La tesi difensiva sostenuta dall’imprenditore ruota attorno alla natura del contributo europeo concesso per la realizzazione del porto turistico di Augusta. Dall’Unione Europea, attraverso la Regione, è stato previsto un contributo fino a un massimo di 8 milioni di euro con l’azienda che avrebbe dovuto investire la parte rimanente dei costi per la costruzione dell’opera. Nel corso dell’operazione sono per questo stati sequestrati 7 milioni e mezzo di euro. Secondo quanto sostengono la Procura di Siracusa e la Guardia di Finanza, che hanno condotto l’indagine gli indagati, grazie a un sistema che avrebbe coinvolto più società compiacenti, avrebbero gonfiato le fatture o emesso fatture per spese inesistenti e guadagnare sia attraverso il pagamento del contributo sia con il mancato pagamento delle tasse.
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