Un nuovo tragico capitolo si aggiunge a una vicenda già segnata da un dolore profondo. Stefano Argentino, 27 anni, detenuto con l’accusa di aver ucciso la sua ex collega di università, Sara Campanella, è stato trovato senza vita nella sua cella del carcere di Gazzi, a Messina.
Si è suicidato nella notte, impiccandosi. Era in cella con altri due detenuti ma, secondo le prime ricostruzioni, avrebbe approfittato di un momento di distrazione per compiere il gesto estremo. Argentino era stato arrestato il 31 marzo scorso, poche ore dopo l’omicidio della giovane Sara, 22 anni, trovata priva di vita nella sua abitazione. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, la ragazza era stata colpita con violenza al culmine di una lite. Un delitto che aveva profondamente scosso la comunità e riacceso l’allarme sul tema della violenza di genere.
Il giovane, inizialmente sottoposto a regime di alta sorveglianza, da qualche settimana era stato trasferito in una sezione ordinaria. Condivideva la cella con altri detenuti e, dopo un periodo di rifiuto del cibo, aveva da poco ricominciato a nutrirsi. Nulla, dunque, lasciava presagire l’imminenza di un gesto così definitivo.
A esprimere il dolore della famiglia Campanella è l’avvocata Concetta La Torre, che assiste la madre di Sara: «È l’epilogo terribile di una storia terribile. Ha deciso lui le sorti di due famiglie. Per noi è un colpo molto doloroso. Non possiamo che essere addolorati in questo momento. Non ci sono parole per descrivere i sentimenti che stanno provando i familiari di Sara».
L’inchiesta sull’omicidio proseguiva e si attendeva il processo per far piena luce su quanto accaduto quella sera. La morte di Argentino chiude sul piano giudiziario la vicenda penale, ma lascia aperte profonde ferite umane, sociali e familiari.
Sara, studentessa piena di vita, era tornata da poco a vivere nella casa di famiglia, dopo aver interrotto la relazione con Argentino. Le indagini avevano documentato tensioni e segnali preoccupanti nei giorni precedenti al delitto. Il giovane si era recato a casa di lei, dove sarebbe scoppiata l’ennesima lite. Da lì, la tragedia.
Il suicidio in carcere riapre anche il dibattito sulle condizioni psicologiche dei detenuti accusati di reati gravi, sull’adeguatezza dei controlli nelle strutture penitenziarie e, ancora una volta, sull’incapacità del sistema di intercettare e prevenire l’escalation della violenza.
Ora resta il silenzio, quello irreversibile della morte, e il dolore, incolmabile, per due giovani vite spezzate e per due famiglie travolte da un destino che sembra non lasciare scampo.
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