Anche le disgrazie, seppur in casi sporadici, possono avere risvolti di positività. Come quelle calcistiche, allorché una squadra, senza neanche accorgersene, finisce col ritrovarsi nella stessa infima serie dalla quale era faticosamente risalita, vittima dell’assenza alle sue spalle di una società in grado di sostenerla. E quando finalmente fa mente locale alla ricerca di dove abbia sbagliato, si accorge che in tutto questo tempo ha pensato che il problema del calcio fosse solo… il calcio, trascurando invece il male oscuro che nel calcio si annida, rappresentato dalle debolezze societarie che quando si sommano sono come le cambiali che prima o poi bisogna pagare. E quelle che il Siracusa, con qualche peccato di superficialità, aveva firmato in bianco col passaggio di mano da Cutrufo ad Alì, sono andate a scadenza più rapidamente di quanto si credeva, trovando una squadra viva e vegeta, ma una società, purtroppo, agonizzante. Ora però è giunto il momento di farsene una ragione e ripartire col piede giusto, cioè da una società che abbia una buona autonomia, grazie ad un’energica cura d’urto in grado di assicurarle un tesoretto sufficiente a coprire le spese da sostenere per la partecipazione almeno ai tre prossimi campionati. E per arrivare a questo traguardo è necessario che la città, istituzioni pubbliche e private comprese, dica chiaro se tiene o meno ad avere fra i pochissimi veicoli di propaganda che la possono aiutare a crescere, anche il calcio, o se pensa di farne a meno, appagando così le voglie dei tanti palazzinari che al posto del “De Simone” vedrebbero meglio una sfilza di casermoni. Sarà forse necessaria una fattiva opera di sensibilizzazione, affidata a chi sa parlare al cuore della gente, tenendo conto che la nostra è una città tutta particolare. A prima vista abitata da gente dedita solo alla cura del proprio orticello, ma che, opportunamente sensibilizzata, è di una generosità e di un altruismo senza pari.
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