Mentre nel Paese succede il finimondo per il Corona virus a Siracusa che si fa? Risposta: s’inciucia. Ma se si verificheranno anche qui le condizioni drammatiche, come già altrove, si sappia che siamo, come si dice, in brache di tela. Vuoi per la mancanza di adeguate strutture vuoi anche per la carenza di personale. Si è fatto taglia taglia nella sanità. Ed ora mancano medici e infermieri e posti letto adeguatamente attrezzati.
All’ospedale “Umberto I” ci sono appena una decina di posti in terapia intensiva di rianimazione, tre o quattro ad Augusta. Tutto qui. Altro che emergenza! L’Asp tace. E’ da ritenere, nel silenzio, che non sappia né che dire né, tanto meno, che fare. Abbiamo dunque un altro “soggetto né-né”: come tanti giovani sfiduciati i quali, ahinoi, né lavorano né studiano. Il sindaco cincischia, disponendo finalmente qualcuna delle cose ormai previste dai decreti del presidente del Consiglio, e invita all’altruismo e alla solidarietà. I frati di Santa Lucia al Sepolcro affidano la città alla Santa Patrona. Sembra di essere ai tempi della peste di manzoniana memoria, quando la gente si riuniva in chiesa a pregare … e così contribuiva ulteriormente alla diffusione del contagio. Evviva!
E’ andata a finire che l’unico a dire qualcosa di serio, ma non per questo efficace, rimane Enzo Vinciullo, il quale sollecita ad “attrezzare l’ospedale Trigona di Noto per fare fronte ad una eventuale emergenza coronavirus in provincia di Siracusa”.
Al che sorge spontanea una domanda, da “uomo qualunque”, come a suo tempo Lubrano e Catalano: ma allora perché non fare tutto ciò al maltrattato ospedale “Rizza”, che è stato trasformato in un contenitore di varia umanità? Il “Rizza” è già un ospedale. Era pure un ospedale di eccellenza, come si dice oggi con eccessiva facilità, quand’era un sanatorio antitubercolare gestito dall’Inps. Poi passò in mano alla Regione, che dichiarò solennemente di volerne fare un ospedale specializzato in pneumologia. E infine è diventato l’insulso contenitore che è oggi. Uno spreco colossale di strutture e risorse.
Oggi basterebbe trasferire tutto quel che impropriamente sta al “Rizza” nei vicini padiglioni ancora vuoti dell’ex ospedale neuropsichiatrico (ONP), che sono proprio lì accanto, nell’area confinante con quello dell’ospedale “Rizza”. E restituire il “Rizza” alla sua funzione naturale: ospedale.
Fare questo oggi però richiede tempo e risorse finanziarie e umane: cambiando linguaggio occorrono quattrini e personale. Mettiamo pure che i quattrini si trovino (e forse oggi si potrebbe anche trovarli) occorrono poi medici e infermieri già pronti, formati. E non è certo facile.
Il personale invece c’è già al “Trigona” di Noto, come dice Vinciullo. Ma allora sarebbe forse meglio fare questa riconversione sul “Di Maria” di Avola, che è fuori dal contesto urbano ed è quindi più facilmente raggiungibile per tutti, e concentrare le funzioni ordinarie sul “Trigona” di Noto.
In definitiva, a volere e sapere lavorarci, qualcosa si potrebbe anche fare. Il peggio è non far nulla. E macinare parole su parole, tutte vane e vuote, come fa il sindaco, o tacere come fa l’Asp.
Intanto il virus non conosce confini. E dilaga rapidamente. Qui non abbiamo ancora casi acuti. Ma non possiamo certo chiamarci fuori. E quando il bubbone scoppierà anche qui saranno cavoli amari per tutti.
Vinciullo poi invoca anche la nomina di un commissario regionale per la gestione dell’emergenza. E indica Guido Bertolaso come persona più idonea alla funzione. Ma che facciamo? Un commissario nazionale, che c’è già, e uno regionale che si dovrebbe nominare? Non sarebbe aggiungere confusione a confusione?
E a proposito di confusione ci si mettono anche i medici a farne di loro. Non a Siracusa, per fortuna. Ma in sede nazionale certamente. E la confusione nazionale non può non riverberarsi anche in sede locale.
La confusione nasce dalla polemica tra gli anestesisti rianimatori della società scientifica Siaarti (Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia Intensiva) e la Federazione nazionale degli Ordini dei medici per il fatto che i letti in terapia intensiva potrebbero non bastare, anche quelli per subacuti. Almeno finché non si reperirà, “come da decreto Ministero della Salute, un 50% di letti in più in rianimazione e il doppio tra gli infettivi”. Lo riferisce “Doctor 33”, un organo d’informazione dei medici.
Che fare in caso di insufficienza di posti disponibili per pazienti da sottoporre a trattamenti intensivi? Si chiedono e chiedono gli anestesisti rianimatori? E si era affacciata l’ipotesi di privilegiare la “maggior speranza di vita”. Ma questo criterio, è stato obiettato, cozza con quelli ordinari come “il primo arrivato è il primo trattato”.
Gli anestesisti rianimatori rifiutano di dover essere loro i giudici per la scelta tra chi deve vivere e chi deve morire: questa infatti, in termini nudi e crudi, è alla fine la scelta da affrontare. E il presidente della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri, Filippo Anelli, ricorda che nessun medico deve essere costretto ad ergersi a giudice. «L’unico metro di giudizio della professione – sottolinea – restano i principi della Costituzione, del Codice di Deontologia, del Servizio sanitario nazionale». E aggiunge: “Per noi tutti i pazienti sono uguali e vanno curati senza discriminazioni”. Sì. Ma, in concreto, come fare? Per concludere con la solita manfrina: “Il nostro Ssn è forte e il ministero della Salute e il Governo stanno, con i provvedimenti eccezionali di questi giorni, ulteriormente mettendolo in sicurezza, aumentando i posti nelle terapie intensive, comprando le apparecchiature necessarie, assumendo personale».
Inoltre Anelli chiede alle Regioni «che anche le Sanità militare e privata siano reclutate per mettere a disposizione le loro cliniche, i reparti di rianimazione, gli ospedali da campo». E chiede che il personale sanitario riceva subito i dispostivi di protezione necessari.
«Dobbiamo evitare – conclude Anelli – il verificarsi delle condizioni di Medicina delle Catastrofi prospettate, pur come mera ipotesi, dalla Siaarti». Sì. Ma intanto l’interrogativo rimane? Nell’immediato che fare?
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