Elogio
del calamaio
Non è rimpianto del passato, è l’annuncio di un avvenire più profondo, più umano. Nei tempi attuali sembra che l’esigenza comune sia quella di velocizzare i rapporti civili, commerciali, professionali, perfino sentimentali, e raggiungere tutto ma subito. Tutto è affidato ad e-mails e sms, nella convinzione di saper trasmettere con quei mezzi, oltre alle notizie, anche pensieri, sensazioni, nostalgie.
E pura illusione. Pensieri, sensazioni, nostalgie rimangono segni grafici freddi ed inespressivi.
La spiritualità umana non si evolve.
Invece, quale ineffabile gioia prendere la penna tra le dita, intingerla nel calamaio e quindi seguire lo scorrere lento, riflessivo, appassionato sulla carta bianca sulla quale sono dolcemente riversati pensieri ed emozioni che ridestano nostalgie antiche.
Scrivere è animare, ricordare, pregare, sognare. Scrivere è parlare con se stessi, concedersi nel profondo, sprigionare con anelito di sincerità e di libertà. Scrivere educa alla riflessione, all’equilibrio intellettuale, alla misura umana in tutte le cose.
E illusorio ritenere che i sistemi meccanici, pur con la loro rapidità ed istantaneità, soccorrano i ritmi vorticosi della vita attuale, anzi rendono fluidi e instabili i rapporti umani che rapidamente si disperdono nel nulla e in tal modo rilevano l›inconsistenza del culto dei falsi idoli della modernità.
Lo sbadiglio
Una lunga serata invernale. In una ampia sala un folto pubblico è stato invitato ad assistere ad una conferenza di un solitario studioso su un argomento di rara conoscenza: le specialità ittiche del Mar Caspio, dai primordi ai tempi attuali.
Dopo il consueto quarto d’ora accademico, la conferenza iniziò con una lunga premessa di biologia marina appesantita da puntuali richiami bibliografici. Già durava da oltre un’ora. Una pila di fogli ancora da leggere con voce monotona e stanca diffondeva il terrore tra il malcapitato pubblico di ascoltatori, il cui stato d’animo oscillava tra la disperazione e la rassegnazione. Alcuni si abbandonavano alle suggestioni di Morfeo, altri insonni perdevano la speranza di una conclusione liberatrice mentre lo scorrere implacabile dei fogli affievoliva le ultime capacità di resistenza. L’oratore piegava il naso su ogni foglio, non si avvedeva della tragedia che si consumava tra il pubblico. Infine su tutti poté, sulla stanchezza, l’assopimento.
L’orologio segnava ore impossibili. Uno spettacolo desolante. All’improvviso, dal fondo della sala, l’ultimo superstite emise uno sbadiglio che esplose come una bomba. Tutti si svegliarono.
L›oratore guardò il pubblico, fissò l’orologio, capì finalmente, raccolse in fretta le sue carte e con un inchino si dileguò.
Era il momento della liberazione. Tutti sani e salvi si allontanarono velocemente. Nessuno si ricordò dei pesci del Mar Caspi
La nobile
arte dell›orafo
siracusano
Non è stata ancora scritta completamente la storia dell’artigianato siracusano che nel corso dei secoli ha dato mirabili testimonianze di intelligenza creativa, culto della bellezza artistica, magica originalità inventiva.
Ha scritto Giuseppe Agnello: «L’artigiano temprava nell›orgoglio di una tradizione ininterrotta la sua capacità artistica nel senso più nobile e comprensivo del termine perché era in lui la gioia di creare».
Grandi maestri d’arte furono gli artigiani di Siracusa; fra essi si distinsero in tutti i tempi i cultori di oreficeria artistica, veri creatori di insigni capolavori con il cesello affinato dalla ricerca del particolare, delle sfumature sottili, di originali ombreggiature.
Ricordiamo gli orafi siracusani Ascenzio Chindemi e Decio Fumò, che furono gli autori dei pregevoli restauri della statua e della cassa argentea di Santa Lucia e che sono ricordati nel basamento di essa; Placido Chindemi, siracusano di elezione, autore di sei pregevoli candelabri, dei quali soltanto due rimangono nella Cappella Torres della Cattedrale; Vincenzo Catera, autore del ciborio e dell’urna eucaristica dell’altare maggiore della Cattedrale.
All’osservatore attento non sfuggono, in dette opere, le tracce singolarmente tipiche del manierismo settecentesco.
Della lunga, pregevole tradizione, stimato epigono è stato il dott. Salvatore Cassone, ultimo rappresentante di una stimata famiglia di orafi, recentemente scomparso. Visse con garbata distinzione — secondo lo stile di un gentiluomo del passato — timi gli anni della sua vita nel laboratorio di via Maestranza, che appariva assai più un›antica bottega d›arte che un esercizio commerciale.
Generazioni di cittadini lo hanno conosciuto ed apprezzato. A molti offrì la sua amicizia con signorile liberalità. Per tutti fu un esempio di spontanea gentilezza.
Con la sua scomparsa si è chiusa una tradizione plurisecolare. La speranza comune è che giovani generazioni di cultori dell’oreficeria artistica sappiano scrivere nuovi capitoli nel libro d’oro dell’artigianato siracusano.
Corrado Piccione
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